Il soprano Eteri Lamoris si racconta
La legge della dialettica in arte non funziona
di Lanfranco Visconti
VIENNA – Parlare di Eteri Lamoris, soprano nativa di Tbilissi (Georgia), oggi considerata una star del panorama lirico internazionale, è per noi un vero piacere. L’abbiamo incontrata recentemente a Vienna. Una famiglia, la sua, di grandi talenti musicali che ha dato molto all’arte del belcanto, come del resto è ricorrente nei paesi dell’Est Europeo, dove lo studio (serio) della musica e la nobile cultura dell’arte del bel canto è tuttora, fortunatamente, pienamente in auge.
Ci parli brevemente dei suoi inizi di carriera e dei suoi più importanti insegnanti di canto?
Il ruolo di un insegnante è prezioso, specialmente all’inizio della carriera. Al fine di trovare la propria identità di artista è importante ascoltare il proprio intuito e tanti dischi. Mia madre, Lamara Cicognia, è stata molto importante nella mia vita. È ricordata ancora oggi nell’ex Unione Sovietica come una vera e propria celebrità. Senza dubbio ha avuto il ruolo più importante nella mia formazione professionale. Ha cominciato ad insegnarmi canto quando avevo tre anni. A 10 ho cantato l’aria di Rosina per la mia famiglia. Ero quindi psicologicamente e professionalmente pronta per la scena quando ero ancora piuttosto giovane. Infatti ho debuttato molto presto. Arrivata nell’Europa occidentale ho continuato i miei studi alla scuola superiore di canto di Madrid con Dolores Ripolles, alunna di Elvira Idalgo – insegnante di Maria Callas. Dopo ho preso lezioni da Renata Scotto, un’artista che ho adorato sin dall’inizio della mia carriera e con la quale mi identificavo dal punto di vista delle emozioni. Era uno dei pochi soprani lirici che sanno come cantare e trasmettere emozioni, ma anche come esprimere poi quelle emozioni sulla scena
In che anno ha ufficialmente debuttato, in quale teatro e con quale opera?
Ho debuttato 15 anni fa all’età di 19 anni nel Teatro statale georgiano di Tblisi nel ruolo di Margherita di Faust. Per essere tanto giovane ho fatto abbastanza bene
Quanti titoli operistici ha attualmente in repertorio?
Di ruoli effettivamente preparati dall’inizio alla fine ne ho 26. Fra di loro si trovano ruoli come Antonia, Mimi, Desdemona, Violetta, Liù, Contessa, Manon di Massenet, Luisa Miller, Juliette, Micaela.
Lei è una giovane artista lirica di grande caratura internazionale; è dotata di bella presenza scenica ed è conosciuta in tutto il mondo per le sue splendide interpretazioni di Violetta di Traviata che ha recentemente cantato con bel successo a Verona e anche in diversi teatri del nord Italia. Che rapporto c’ è tra Eteri e Violetta?
Un bel rapporto. Sento più compassione e pietà per Violetta che per altre mie eroine tragiche. Analizzandoli uno per uno, tutti i miei personaggi tragici sono vittime della società o di uomini, ma la tragedia di Violetta è molto particolare. Lei non è una semplice donna – prostituta di lusso che muore di tisi come credono tanti spettatori. Prima di tutto bisogna capire che è una donna di grande spirito, mantenuta da uomo con la forza. A quel tempo le donne erano estremamente discriminate. Una donna nubile o divorziata per mantenersi economicamente doveva scegliere tra l’appoggio di un uomo o accettare un lavoro duro, sporco e disumano, il che non tutte erano pronte a fare. Violetta si trova nelle condizioni di dover fare questo «lavoro» per sopravvivere, ma in fondo all’anima aspetta ancora l’arrivo di un «principe azzurro» che venga a salvarla. Quando questi arriva nei panni di Alfredo, decide di lanciare la sfida alla società, mostrando che anche una donna con il suo passato ha diritto alla felicità, che la società voglia accettarlo o meno. Direi che ancora oggi sarebbe difficile, ma allora era un’utopia il solo sperarlo. Violetta è dunque una donna forte e rivoluzionaria e la chiave della sua natura sta per me nella sua infinita generosità. Alla fine decide di sacrificare la sua felicità per la felicità di una ragazza giovane, «pura» e innocente per darle quello che lei non ha mai avuto. Secondo me è sbagliata l’interpretazione che la vede rinunciare perché sa di essere gravemente malata e non ha altra scelta. Violetta avrebbe continuato a convivere felicemente con Alfredo fino alla morte se non fosse stato per la sorella di lui. La coscienza della malattia Violetta l’aveva sin dall’inizio. Per me la morte di tisi è un semplice ritrovato teatrale al fine di completare il dramma.
Violetta Valery ne La traviata
C’è un modello di soprano lirico, anche appartenente al recente passato, a cui lei si è particolarmente ispirata?
Direi che nell’arco di tutta la mia carriera, sono stati tre i soprano che mi hanno influenzato: mia madre, La Scotto e La Callas
Come sta andando, secondo lei, il teatro lirico in Europa?
Difficile… Aumenta la quantità dei cantanti e ne diminuisce la qualità. Il che è pericoloso perché la legge della dialettica in arte non funziona. Per la mancanza di spiccate personalità fra i cantanti, i registi sono costretti a lavorare di più e ad inventare qualcosa di nuovo, di originale, che intrattenga il pubblico, ma la situazione è complicata, perché è già stato inventato e fatto di tutto. Poi per fare gran carriera, i cantanti oggigiorno devono superare se stessi. Devono parlare 37 lingue, fare public relation, essere amici di «qualcuno», cantare tutti i ruoli, anche quelli sconvenienti, apparire bene, ridere sempre e mostrare quanto sono felici. Ne risulta che quando escono sul palcoscenico, si sentono vuoti dentro perché non c’è arte, resta solo qualcosa della voce e dello spirito competitivo. Ci sono poi certi cantanti che sono un prodotto pubblicitario al 100% e cantano al 50%. Oggigiorno c’è di tutto. In questa situazione sarebbe meglio avere un pubblico che ti protesta, gridando. Ma col tempo anche il pubblico si è assuefatto, è diventato conformista e troppo «educato». A volte mi chiedo, ma tra vent’anni il mondo della lirica avrà ancora un pubblico?
Si trova più a suo agio sul palcoscenico con le regie tradizionali o con quelle cosiddette innovative o moderne?
Io mi trovo bene con tutte le regie che hanno senso e significato. A me personalmente piace cantare, portando vestiti d’epoca forse per la mia anima romantica. Zeffirelli ha capito bene la mia natura. Quando sono stata invitata nella sua villa per festeggiare il Capodanno, mi ha chiamato «Principessa del secolo XIX». Ma non mi fa paura cantare Desdemona in minigonna ed essere uccisa con un sacco di plastica, soltanto non lo trovo molto estetico. Secondo me oggi la missione dell’opera potrebbe essere quella di trasmettere e sviluppare nella gente dei sentimenti più nobili, un maggior senso di bellezza e di estetica. Sacchi di plastica, coca cole, pizze, forni a microonde e play station ne vediamo già fin troppi nella vita quotidiana!
Le piacerebbe cantare più spesso in Italia, dove è molto apprezzata dal pubblico e come giudica il livello di preparazione musicale dei nostri giovani artisti lirici?
L’Italia mi piace perché è l’unico Paese che conserva ancora l’immagine di opera classica e dove il pubblico non resta indifferente. Per quel che riguarda i cantanti italiani, ho cantato con tanti di loro e non ne ho trovato ancora uno che non sia professionale. I miei colleghi sanno cantare sempre correttamente con una buona scuola e quando ascolto qualcuno di loro, mi fa piacere sentire che esiste ancora la tradizione di quel fenomeno che si chiama «belcanto» italiano